A volte si fa confusione tra indice e carico glicemico. È quest’ultimo che di fatto avrà eventualmente impatto sulla glicemia.
Analizziamo la differenza tra i due valori.
Indice glicemico
L’indice glicemico (IG) è una proprietà intrinseca dell’alimento e indica la velocità con cui aumenta la glicemia (ovvero la quantità di glucosio nel sangue).
Dipende da molti fattori: temperature e tempi di cottura, processo di produzione dell’alimento, composizione dell’amido (in termini di rapporto tra amilosio e amilopectina), presenza di fibre, grassi e proteine (ecco perché un cereale raffinato avrà un IG più alto di un cereale integrale).
L’IG di un alimento può avere un valore compreso tra 0 e 100. In base a tale valore, l’alimento può essere classificato a basso (≤55), medio (56-69) o alto IG (≥70) [18].
Glucosio e pane bianco hanno indice glicemico alto. Carote e mele hanno indice glicemico basso. L’indice glicemico, però, da solo, non tiene conto dell’impatto sulla glicemia, che invece dipenderà anche dalla quantità di carboidrati presenti nell’alimento. Ed ecco che interviene il carico glicemico, il parametro che più ci interessa.
Amido e tipi di amidi
Gli amidi sono lunghe catene di glucosio e si trovano in cereali, legumi, tuberi (ad esempio le patate) e alcuni tipi di frutta (come ad esempio la banana). Possono avere una struttura di tipo lineare (amilosio) o ramificata (amilopectina).
Nel processo digestivo (ovvero quando vengono digeriti, a opera degli enzimi digestivi, prima nella bocca e successivamente nell’intestino tenue) gli amidi vengono scomposti in glucosio (lo zucchero utilizzato dal nostro organismo). La velocità di digestione determinerà la possibilità di influenzare l’innalzamento della glicemia nel sangue: più l’amido è aggredibile dall’enzima amilasi, più velocemente sarà digerito e quindi più velocemente arriverà nell’intestino tenue e quindi assorbito.
Se la struttura dell’amido è ramificata, vi saranno più punti di attacco da parte degli enzimi digestivi, quindi sarà digerito più velocemente e la velocità di assorbimento sarà maggiore.
È questo il caso delle patate o delle banane (con una percentuale piuttosto alta di amidi a struttura ramificata e una bassissima percentuale di amilosio) che hanno un IG più alto rispetto ai cereali integrali. Per quanto riguarda le banane, se mature vi sarà una maggiore percentuale di zuccheri rispetto a quelle acerbe: quindi il carico glicemico sarà maggiore.
Anche il riso, contiene con una buona percentuale di amidi a catena ramificata: per questo è importante che sia integrale (la fibra riduce l’assorbimento degli zuccheri a livello intestinale). Considerando che se stracotto (sotto forma di crema di riso, ad esempio), l’indice glicemico aumenta essendo stato sottoposto a maggiore trattamento termico (come vedremo più avanti).
Se i cereali integrali sono in chicco, l’IG sarà inferiore rispetto agli stessi ridotti in farina. Dunque, in un alimento contenente amidi, maggiore è la percentuale di amilosio (l’amido con struttura lineare e più difficile da aggredire), minore sarà la velocità di assorbimento e più sarà basso il suo indice glicemico.
Amido e trattamento termico
Un altro fattore che influisce sull’indice glicemico è il trattamento termico a cui sono sottoposti gli amidi. Durante la cottura, infatti, l’amido perde la sua struttura cristallina e ordinata, assumendo le caratteristiche di un gel (il processo si chiama, non a caso, gelatinizzazione).
L’umidità minima richiesta per iniziare il processo di gelatinizzazione è di circa il 25% e la temperatura di circa 50-70°C.
Questo avviene cuocendo la pasta, i cereali o le farine (polenta o semolini) in acqua, oppure le farine al forno (pane, dolci).
A seguito del processo di gelatinizzazione (influenzato da temperatura e quantità di acqua), gli amidi saranno più esposti all’azione digestiva degli enzimi rispetto a un amido non gelatinizzato. Maggiori sono le temperature a cui si sottopongono gli alimenti contenenti amidi, più questi ultimi saranno digeribili e quindi maggiore sarà il loro indice glicemico.
Ecco perché gallette, cereali soffiati ed estrusi hanno un alto indice glicemico: vengono infatti portati a temperature molto alte, di circa 200°C.
La cottura al vapore indurrà una gelatinizzazione inferiore rispetto a una cottura al forno: ecco che un pane cotto al vapore avrà un indice glicemico inferiore rispetto allo stesso pane qualora fosse cotto al forno. Anche i tempi di cottura influenzano l’indice glicemico: una pasta al dente avrà un IG più basso di una pasta cotta a lungo.
Presenza di fibra, grassi e proteine
La presenza di fibra, nello specifico solubile, grassi e proteine riduce l’indice glicemico di un alimento contenente carboidrati.
C’è da considerare che un pane appena sfornato avrà un indice glicemico maggiore di un pane raffermo. Questo perché Ii pane raffermo è ricco di amido resistente, una particolare fibra solubile.
A seguito della cottura, infatti si assiste al fenomeno, come abbiamo visto, della gelatinizzazione degli amidi. Raffreddando l’alimento, l’amido ripristina la sua struttura ordinata (fenomeno di retrogradazione): ed ecco l’amido resistente, o meglio, l’amido resistente retrogradato. Si chiama resistente perché è in grado di resistere alla digestione: la sua struttura compatta, infatti, lo rende meno accessibile agli enzimi digestivi.
Pertanto, non viene assorbito a livello del tenue e viene fermentato a livello dell’intestino crasso, nutrendo i batteri buoni del microbiota. Da a cui anche il suo effetto prebiotico.
Questo fenomeno di retrogradazione si può applicare anche alle patate. Abbiamo visto che hanno un alto indice glicemico. Se dopo averle bollite, le facciamo raffreddare e le riponiamo in frigo per circa 8 ore gli amidi, per effetto della retrogradazione, diventano meno attaccabili dai nostri enzimi digestivi. Infatti, anche in questo caso, una piccola parte di amidi si trasforma in amido resistente che non viene digerito e assorbito, riducendo così l’indice (per via dell’incremento della fibra solubile nell’alimento) e il carico glicemico (legato anche la quantità di carboidrati presenti nell’alimento che, essendosi in parte trasformati in fibra solubile, si è ridotta). In questo caso, prima del consumo poniamo le patate fuori dal frigo e le teniamo a temperatura ambiente per qualche minuto, senza riscaldarle. Se consumate, vanno inserite nel pasto al posto dei cereali.
Carico glicemico
Il carico glicemico (CG) si ottiene semplicemente moltiplicando l’indice glicemico dell’alimento per i grammi di carboidrati contenuti nella porzione dell’alimento considerato e dividendo per 100 (quindi si calcola la percentuale di carboidrati). Ovvero:
CG = IG * g CARBOIDRATI / 100
Se il risultato è uguale o inferiore a 10, il carico glicemico è basso. Se è uguale o superiore a 20 allora è alto e se è nel mezzo significa che è medio.
Prendiamo come esempio la carota, spesso “demonizzata” laddove sia cotta:
• Se cruda, il suo carico glicemico è 3,2.
• Se cotta, il suo carico glicemico 7,2 (quindi inferiore a 10).
Ovvero, se cotta, l’indice glicemico della carota aumenta, ma poiché la quantità di carboidrati che contiene è piuttosto bassa (circa 8%), il suo impatto sulla glicemia sarà all’incirca analogo a quello di una mela (di circa 150 g).
In sintesi, sarebbe meglio assumere alimenti che abbiano un carico glicemico non alto, in modo tale da non impattare sulla glicemia. Ecco perché i cereali li scegliamo non raffinati, meglio in chicco. L’unione con i legumi (che contengono in particolare fibra solubile), oltre a ridurre l’indice glicemico, ci permette di avere un apporto proteico completo nel pasto. Infatti cereali integrali e legumi ci forniscono tutti gli amminoacidi (i mattoncini che compongono le proteine) essenziali (perché noi non possiamo sintetizzare tali aminoacidi, ma è necessario assumerli attraverso la nostra alimentazione) che ci servono.
Ovviamente, se esageriamo con le quantità, aumenta la quantità di carboidrati ingeriti e questo andrà ad influenzare il carico glicemico del pasto.
Da cui la necessità di una alimentazione equilibrata.
Il piatto sano di Harvard ci suggerisce anche di non esagerare con i cereali integrali, la cui percentuale (nel piatto) si dovrebbe attestare intorno al 25% (si veda figura).
Figura: Piatto sano di Harvard (fonte Harvard Medical School)