Oggigiorno è sempre più in auge il tema longevità, che va inteso, non tanto in termini di Life span
(ovvero durata della vita), quanto piuttosto di Health span, ossia longevità in salute.
La ricerca della longevità è un desiderio atavico dell’essere umano. Anche dal punto di vista
scientifico, non si tratta di un tema recente. Il primo articolo su tale argomento infatti risale al 1838,
in un periodo in cui l’aspettativa di vita media era nettamente inferiore rispetto a quella attuale,
aggirandosi attorno ai 40 anni.
Viviamo oggigiorno in media circa 34 anni in più dei nostri bisnonni. Sostanzialmente, l’aspettativa
di vita è aumentata: quasi un’intera vita che si aggiunge alla nostra esistenza. Ed è un’ottima
notizia.
La cattiva notizia è che, purtroppo, ci sono tante malattie che un tempo non esistevano. In pratica, si
è ridotta l’aspettativa di vita sana.
In Italia, in particolare in Sardegna (la regione dell’Ogliastra per la precisione), è presente una delle
cinque zone in cui sono stati osservati maggiori casi di longevità. Oltre alla Sardegna, abbiamo
l’sola di Okinawa (Giappone), la penisola di Nicoya (Costa Rica), l’isola di Ikaria (Grecia) e Loma
Linda (California). Vengono chiamate Blue Zone.
Ci chiediamo: “qual è il segreto della longevità?”
Qualcuno potrebbe ipotizzare che sia genetica. Ebbene, c’è da sapere che la genetica ha un peso
appena del 25-30%, mentre i fattori ambientali hanno una maggiore rilevanza (di circa il 70-75%).
Studi condotti su gemelli monozigoti (ovvero con identiche sequenze di DNA) hanno confermato
che l’invecchiamento può essere accelerato o rallentato in base all’ambiente.
In altre parole, due persone con lo stesso DNA, pur avendo la stessa età anagrafica, possono avere
una diversa età biologica in base allo stile di vita che conducono. Quando l’età biologica è maggiore
di quella cronologica (gli anni di vita), si parla di accelerazione dell’età epigenetica.
Un biomarcatore utilizzato per predire l’età biologica è quello che prende in considerazione la
lunghezza dei telomeri. I telomeri sono piccole porzioni di DNA che si trovano alla fine di ogni
cromosoma e li proteggono dalla degradazione e dalla fusione (impropria) con altri cromosomi. Si
accorciano a ogni replicazione cellulare, evitando che ad accorciarsi siano invece i cromosomi,
riducendo quindi il rischio che si perdano porzioni di DNA codificante, importanti per la vita.
Va considerato che ci sono condizioni che possono favorire o ridurre l’accorciamento. Ad esempio,
viene favorito da stress ossidativo, esposizione all’inquinamento ambientale, abitudine
dall’abitudine tabagica (il fumo di sigaretta, in poche parole). Mentre, una corretta nutrizione ed
esercizio fisico moderato lo rallentano.
Il loro eccessivo accorciamento, quindi, viene valutato come indice di invecchiamento. In tale
condizione non riescono più a proteggere il DNA. Accade quindi che si abbia un arresto
irreversibile della divisione cellulare, con relativo accumulo di cellule dette senescenti (non più in
grado di replicarsi), promuovendo quindi l’invecchiamento.
Le cellule senescenti possono rinforzare esse stesse la senescenza, sia a livello locale sia a livello
sistemico, favorendo fenomeni infiammatori.
Non a caso si parla di inflammaging, inflammation più aging, con effetti a livello del sistema
immunitario, sistema cardiovascolare e sistema nervoso. Del resto, l’infiammazione è la madre di
tutte le malattie e contribuisce all’insorgenza di molte malattie croniche tra cui tumori, diabete,
osteoartrite e malattie neurodegenerative (quali ad esempio il morbo di Alzheimer).
Veniamo ora ai nostri centenari sardi: ebbene, è stato osservato che sono caratterizzati da bassi
livelli di infiammazione, in particolare relativamente alla citochina pro-infiammatoria IL-6 che
generalmente aumenta con l’età e contribuisce all’infiammazione cronica di basso grado tipica
dell’anziano (quella che abbiamo definito inflammaging).
Oltretutto, nonostante il sesso maschile sia positivamente associato all’accelerazione dell’età
epigenetica (quindi a una maggiore età biologica rispetto a quella anagrafica), il paradosso dei
centenari sardi è che gli uomini sono in realtà più longevi delle donne. Il vantaggio relativo alla
sopravvivenza potrebbe dunque essere legato ai bassi livelli di infiammazione, come evidenziato
sopra.
Cosa differenzia il loro stile di vita, in particolare quello degli uomini, rispetto alle donne?
Stress ossidativo e invecchiamento
Abbiamo visto che a favorire l’invecchiamento è lo stress ossidativo. Tale situazione si viene a
creare quando i radicali liberi (prodotti anche in modo fisiologico a livello cellulare) diventano
eccessivi e superano le capacità antiossidanti del nostro organismo.
In condizioni normali, ciascuna cellula produce radicali liberi, che hanno anche un ruolo importante
per la difesa contro le infezioni: in questo caso i radicali liberi hanno il potere di eliminare o
combattere il patogeno che ha invaso le cellule stesse.
I radicali liberi vengono prodotti anche in particolari organelli chiamati mitocondri, le nostre
centrali energetiche, ovvero quando ad esempio “bruciamo” (ossidiamo) il glucosio (derivante dalla
digestione dei carboidrati presenti nel nostro cibo) e gli acidi grassi.
Non a caso, se mangiamo un cibo che aumenta in modo preoccupante i livelli di glucosio ematico,
si rischia di favorire lo stress ossidativo, che a sua volta può aumentare i livelli di infiammazione.
E per questo ringraziamo la dieta occidentale, con cibi raffinati, grassi di qualità discutibile, cibi
ultraprocessati (bevande zuccherate, merendine, patatine frutte, dolci confezionati, carni processate
e altre preparazioni industriali).
Quello dei longevi sardi è un popolo di pastori, che basa la propria alimentazione prevalentemente
su verdura, cereali, legumi, formaggi, frutta, che non provengono però dal circuito della grande
distribuzione.
Un aspetto che differisce tra uomini e donne è l’attività: gli uomini sono prevalentemente pastori
mentre le donne principalmente rivolte ad attività domestiche, oltre che coltivazione dell’orto e
allevamento di animali. Oltretutto, la pastorizia in zone montuose favorisce il dispendio energetico
degli uomini rispetto alle donne e questo potrebbe essere un altro fattore correlato alla maggiore
longevità maschile.
Un alimento alla base dell’alimentazione di questa popolazione è il pane, che viene consumato
giornalmente. Trattasi di un pane differente da quello offerto dalla grande distribuzione, essendo
preparato con sfarinati non industrialmente raffinati e a lievitazione naturale (quindi con starter
contenenti lattobacilli, come la pasta madre) con caratteristiche chimico-fisiche differenti dalla
lievitazione con lievito di birra (contenente unicamente Saccharomyces cerevisiae).
E’ inoltre un pane secco, contenente amido resistente, che non viene quindi digerito e assorbito,
riducendo, di conseguenza, il carico glicemico dell’alimento. Inoltre, l’amido resistente è una fibra
solubile, quindi in grado di nutrire i batteri buoni del nostro intestino. La fibra solubile ha infatti
proprietà prebiotiche, quindi è essenziale per il benessere del microbiota intestinale che,
fermentandola, produce acidi grassi a catena corta, in particolare acido butirrico che rinforza la
barriera intestinale e riduce lo stress ossidativo.
Ricordiamo che la fibra, compresa quella solubile, ci viene fornita da cereali non raffinati, legumi,
verdura e frutta.
Ruolo del microbiota
Tra i fattori da analizzare è anche il ruolo del microbiota, in grado di modulare diversi aspetti della
salute.
Uno studio condotto nel 2022 da Lei Wu e collaboratori ha osservato che il microbiota dei centenari
gode di una salute migliore rispetto a quello dei soggetti più giovani, con una maggiore presenza di
specie batteriche simbionte quali Lactobacillus, Akkermansia ed altri batteri in grado di produrre di
acidi grassi a catena corta. In particolare, il Lactobacillus plantarum, con notevoli proprietà
antiossidanti.
L’Akkermansia muciniphila promuove l’integrità intestinale ed è un importante biomarcatore
dell’omeostasi (equilibrio) intestinale. La sua riduzione è infatti associata a malattie infiammatorie
intestinali e a disturbi metabolici.
E’ triste constatare, purtroppo, che oggigiorno gran parte della popolazione presenta una condizione
di disbiosi, ovvero di alterato equilibrio del microbiota. E per questo ringraziamo sempre la dieta
occidentale, che si è notevolmente allontanata dalla vera dieta mediterranea.
Una dieta squilibrata, inoltre, può favorire la formazione di composti tossici a livello del
microbiota intestinale, come nel caso della TMAO (trimetilammina N-ossido), prodotta a partire
dalla L-carnitina (un composto delle carni rosse), che favorisce infiammazione. Non a caso, come ci
suggerisce il WCRF (Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro) le carni rosse (in particolare quelle
processate) sarebbero da limitare nella nostra alimentazione. Ciononostante, oggigiorno c’è chi
propone approcci surreali come la cosiddetta dieta paleolitica. Senza considerare, oltretutto, che in
quel periodo l’essere umano era prevalentemente raccoglitore e non acquistava la carne al
supermercato, ma si armava di arco e frecce, rincorrendo la propria preda, che non sempre riusciva
a colpire. E, quando ci riusciva, non c’era il frigorifero dove conservare la bistecca.
Insomma, oggi si mangia troppo e anche male. Spesso cibi che non vengono direttamente dalla
terra, ma sono stati trasformati, con trattamenti tecnologici che li sottopongono anche ad alte
temperature (come avviene nei processi industriali). Le alte temperature favoriscono la formazione
di composti ad azione pro-ossidante e pro-infiammatoria.
A questo punto, il segreto della longevità è un po’ quello di Pulcinella: mangiare meno e meglio,
quindi prevalentemente cereali integrali, legumi, verdure, frutta. Come condimento, quello della
nostra dieta mediterranea, ovvero l’olio extravergine di oliva.
Importante l’attività fisica, senza trascurare il nostro stato d’animo, conservando quindi serenità e
positività.