I legumi fanno parte della tradizione culinaria della nostra penisola.
Sono stati alla base della dieta mediterranea (quella vera) per millenni (in particolare quando non vi erano le patologie metaboliche che ci sono oggi).
Dal punto di apporto nutrizionale, sono la fonte proteica più sostenibile e a minor impatto ambientale. Oltretutto, la loro coltivazione è in grado di trasferire al suolo l’azoto atmosferico, favorendo la riduzione dell’uso di fertilizzanti nelle coltivazioni.
Alcuni esempi di legumi: ceci, fagioli, piselli, lenticchie, fave, soia, fagioli mung (che non è soia), fagioli azuki (anche questa non è soia).
I legumi contengono fibra solubile, ovvero quella fibra che viene fermentata dalla nostra “flora” batterica intestinale, favorendo, a livello del colon, la crescita di specifici ceppi batterici (in particolare lattobacilli e bifidobatteri). Questi microrganismi convertono la fibra in acidi grassi a catena corta (definiti anche SCFA), molto importanti per il benessere e la funzione delle cellule che costituiscono la parete del colon.
Tra questi acidi grassi abbiamo in particolare l’acido butirrico che riduce la proliferazione di microrganismi patogeni e ha proprietà antiputrefattive; è inoltre un magnifico nutrimento per le cellule della mucosa del nostro colon, aiutando a conservare l’integrità della barriera intestinale.
Non a caso questa fibra è considerata un prebiotico ed è in grado di influenzare anche il sistema immunitario, con un’azione stimolante e modulante.
Oltre che prebiotica (quindi di nutrimento per i batteri buoni), la fibra solubile è importante per il controllo della glicemia e colesterolemia. Infatti, riduce l’assorbimento di zuccheri e colesterolo a livello intestinale, con modulazione dell’indice glicemico del pasto consumato.
Come si cucinano i legumi
I legumi andrebbero prima ammollati e poi cotti (bene), preferibilmente in pentola a pressione (a parte quelli decorticati che non richiedono neppure ammollo).
Si sconsiglia l’uso del bicarbonato di sodio che non solo modifica il sapore ma li impoverisce, alterandone le qualità nutrizionali. Il bicarbonato, infatti, limita l’assorbimento di tiamina, ovvero la vitamina B1. L’accortezza si applica anche per la cecina, preparata con farina di ceci, che richiede un lungo ammollo di almeno 8 ore, in frigorifero per non favorire fermentazioni anomale. In questo caso, ovviamente, l’acqua di ammollo non viene rimossa.
L’ammollo serve per attivare le fitasi endogene dei semi, ovvero enzimi (che noi non possediamo) che liberano i gruppi fosfato dell’acido fitico (la principale forma di depositi del fosforo nei tessuti vegetali), riducendolo.
Quindi, l’acido fitico si trasferisce nell’acqua di ammollo che andrebbe rimossa prima della cottura (in quanto in essa sono passati i componenti antinutrizionali).
Quindi i legumi verranno cotti con acqua rinnovata.
L’acqua di cottura va invece conservata, in quanto ricca di sali minerali e composti idrosolubili. Possiamo usarla, ad esempio, per condire la pasta e per preparare zuppe.
Per ridurre la flatulenza che può essere causata dai legumi, generalmente in macrobiotica si suggerisce di aggiungere un piccolo pezzetto di alga kombu in fase di ammollo (la stessa potrà essere poi utilizzata anche nella successiva fase di cottura): ciò può prevenire il fastidioso gonfiore di pancia che talvolta potrebbe presentarsi in chi non è abituato al consumo di legumi. In alternativa alla kombu, si possono usare erbe aromatiche come alloro, salvia e timo.
L’alga kombu è un depurativo naturale dell’intestino, utile anche per chi soffre di fermentazioni intestinali. È comunque da usare con molta parsimonia, dato l’elevato contenuto di iodio.
Qualora si presenti gonfiore nonostante l’alga, si può iniziare con legumi decorticati oppure passati con il passaverdure.
Ottima fonte di ferro
Se facciamo un confronto, in termini di contenuto di ferro, tra una porzione di fagioli secchi (50 g) e una porzione da 100 g di carne bovina, vediamo che i fagioli vincono per 3,4 mg contro 1,9 mg.
Quindi, i fagioli contengono più ferro di una bistecca.
Tuttavia, va considerata la biodisponibilità di questo minerale, ovvero la percentuale effettiva che il nostro organismo riesce ad assorbire e utilizzare, il che dipende da vari fattori:
- legati all’individuo, in particolare allo stato di salute della microflora intestinale (un intestino in disbiosi, ovvero in squilibrio, farà fatica ad assorbire)
- legati all’alimento stesso, come il tipo di ferro (eme o non eme), la presenza di fattori antinutrizionali e il tipo di cottura.
Per quanto riguarda la salute dell’intestino, in presenza di disbiosi sarebbe bene seguire una dieta antinfiammatoria, considerando che i cibi che possono favorire l’infiammazione sono principalmente carne rossa e quelli che fanno aumentare la glicemia (come i cibi industrialmente raffinati e ricchi di zuccheri liberi, piuttosto diffusi nella dieta occidentale).
Consideriamo che un maggiore consumo di carne rossa è associato non solo a un aumentato rischio di tumore al colon retto (come da evidenze del WCRF), ma anche di diabete di tipo 2.
Per quanto riguarda i fattori legati all’alimento stesso, entra in gioco il ferro eme contro quello non eme (presente negli alimenti sotto forma di ferro trivalente).
Il ferro eme è quello legato all’emoglobina: è contenuto negli alimenti di origine animale ed è sempre assimilato, anche quando l’organismo ne ha già a sufficienza.
Il ferro non eme (in questo caso, quello dei fagioli) viene assimilato di meno. Infatti, per essere assorbito, deve prima trasformato (ridotto). E per far ciò interviene la vitamina C, un agente riducente, ovvero in grado di donare un elettrone e trasformare il ferro non eme nella forma bivalente e dunque assorbibile dai nostri trasportatori a livello intestinale.
Per questa trasformazione, possiamo associare al pasto un cibo in cui sia presente vitamina C che ne incrementa il potenziale di assorbimento. Ecco perché è utile la frutta durante o dopo i pasti, oppure del succo di limone.